Scrivere dopo l’11 settembre: lezioni dal cinema americano
Fino agli anni 2000, se si chiedeva a qualcuno quale fosse la data più famosa della storia, le risposte più comuni erano la presa della Bastiglia (14 luglio 1789), l’inizio della Seconda guerra mondiale (1° settembre 1939) o, per i più colti, la scoperta dell’America (12 ottobre 1492). Ma dopo l’attacco alle Torri Gemelle, una nuova data ha impresso la memoria collettiva di tutti: l’11 settembre.
Questa data non ha segnato solamente una frattura storica e politica degli Stati Uniti, ma ha cambiato radicalmente anche la forma e la sostanza del racconto cinematografico (americano). Prima di quella data, i blockbuster americani parlavano di catastrofi grandiose, ma impersonali: terremoti, inondazioni, attacco alieno. Questi erano i nemici del mondo. Dopo l’11 settembre, i nemici sono diventati gli stessi esseri umani, nemici più vicini e insidiosi. La paura del nemico esterno è stata sostituita dalla paranoia del nemico “in casa”.
Per uno sceneggiatore, conoscere la storia e i momenti che hanno segnato la società non è solo un esercizio di memoria: è uno strumento indispensabile per capire le paure, le aspirazioni e i mutamenti culturali che plasmano le storie. Ogni grande racconto nasce dal dialogo con il tempo in cui viene raccontato, e senza comprendere la storia, il cinema rischia di parlare a vuoto, privo di contesto e profondità.
Ma quali sono gli elementi narrativi e drammaturgici che sono cambiati dopo il primo e unico attacco diretto agli Stati Uniti? Vediamolo in questo articolo.
Prima dell’11 settembre: catastrofi “pulite” e nemici lontani
Negli anni ’90, Hollywood sviluppò un genere cinematografico ben definito: il disaster movie. In queste storie, l’antagonista era esterno, impersonale e privo di intenzioni morali. Il pericolo non era “cattivo” in senso umano: semplicemente esisteva, rappresentando una forza incontrollabile contro cui l’uomo doveva misurarsi.
In questo senso, questi film incarnano un tipo di pessimismo cosmico molto simile a quello espresso da Giacomo Leopardi: l’uomo è piccolo e fragile di fronte alla natura, e le catastrofi non puniscono né premiano, ma semplicemente accadono, mostrando l’indifferenza dell’universo alla sorte umana.
Film come Twister (1996) e Volcano (1997) mettevano in scena tornado, eruzioni e terremoti. La tensione nasceva dalla forza della natura, mentre la risposta umana si concentrava sull’ingegno, sul coraggio e sulla cooperazione. Il nemico restava neutrale: non esisteva cattiveria, soltanto un evento che minacciava la vita e l’ordine quotidiano.
Altri esempi del decennio, come Armageddon (1998) e Deep Impact (1998), spostavano il pericolo nello spazio. La spettacolarità era centrale, e l’elemento “nemico” rimaneva impersonale, lontano e incontrollabile.
Un primo accenno a minacce con volontà propria compariva nei film di invasioni aliene, come Independence Day (1996) o, in chiave più leggera, nel primo Men in Black (1997). In questi casi, il nemico possiede un’intenzione, ma resta chiaramente esterno: gli alieni arrivano da un mondo lontano, distinguibili e riconoscibili, lontani dal contesto umano.
In tutti questi film, il messaggio sottostante era rassicurante: l’America (e per estensione l’intera Terra, secondo la prospettiva hollywoodiana) emergeva come una fortezza solida, capace di resistere e reagire. I cittadini si uniscono di fronte alla minaccia, e alla fine ingegno, coraggio e giustizia umana trionfano.
Questi tipi di film funzionavano come un vero e proprio rito collettivo, consolidando il senso di sicurezza, la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni, pur riconoscendo la piccolezza dell’uomo di fronte a un universo vasto, potente e spesso indifferente.
L’11 settembre come spartiacque culturale
L’attacco alle Torri Gemelle ha introdotto un trauma visivo e psicologico che nessun disaster movie poteva più replicare. Per la prima volta, la vulnerabilità non era astratta o distante: era davanti agli occhi di tutti. Il crollo delle torri mostrava che il nemico poteva colpire al cuore stesso dell’America, rendendo obsolete molte delle strutture narrative precedenti.
In primis, il pericolo non era più impersonale: non era un meteorite, un tornado o un’eruzione, ma un essere umano. La distanza tra spettatore e minaccia si accorciava: il nemico poteva essere chiunque, nascosto nella società e pronto a colpire in modo camaleontico. Infine, il trauma divenne immediato e familiare: a essere colpiti non erano luoghi astratti o remoti, ma spazi quotidiani e riconoscibili, come grattacieli, scuole o centri commerciali.
L’11 settembre segnò un trauma collettivo talmente profondo che Hollywood evitò di mostrare le Torri Gemelle per anni. Un esempio noto è la sigla inziale di ogni episodio de I Soprano (The Sopranos, 1999-2007): Tony Soprano (James Gandolfini) guida la sua Chevrolet Suburban mentre percorre il tragitto che lo porta da New York al New Jersey, passando davanti a ponti, strade, fabbriche, insegne, stazioni di servizio, fino ad arrivare al vialetto di casa sua. Una sigla che racchiude visivamente il passaggio dal cuore pulsante della metropoli al mondo periferico e domestico della famiglia mafiosa. È un “viaggio identitario” che colloca subito lo spettatore dentro lo spazio e l’atmosfera della serie: la commistione tra normalità quotidiana e potere criminale.
Nelle prime stagioni, durante i primi secondi della sigla, nello skyline inquadrato dal finestrino si intravedevano chiaramente le Torri Gemelle. Erano il simbolo di New York, ma anche un punto di riferimento obbligato per chiunque arrivasse dal New Jersey. Dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, gli autori decisero di rimuovere quell’immagine. A partire dalla quarta stagione, la sigla rimase identica in struttura e ritmo, ma le Torri non compaiono più.
Questo cambiamento ha reso gli spettatori più ricettivi a storie in cui il cattivo è “tra noi”, dove la sicurezza domestica, politica e sociale non può più essere data per scontata, aprendo la strada a una narrativa di paranoia, sospetto e minacce interne.
La narrativa post-11 settembre: minacce interne e paranoia
A partire dal 2002, i blockbuster, soprattutto i thriller americani, hanno iniziato a raccontare storie in cui il pericolo non proviene più da eventi naturali o minacce lontane, ma da fonti vicine, umane e spesso invisibili, cercando di venire in contro alle nuove sensibilità e vulnerabilità del pubblico (non solo americano).
Un primo filone riguarda il complotto e la corruzione interna. Film come The Bourne Identity (2002) mostrano agenti governativi corrotti e organizzazioni segrete che agiscono nell’ombra. In questo contesto, il nemico non è più un terrorista lontano, ma un’entità che dovrebbe proteggere i cittadini, trasformando la fiducia in sospetto.
Accanto a questo, si sviluppa la rappresentazione del terrorismo urbano. Pellicole come Il cavaliere oscuro (The Dark Knight, 2008) descrivono criminali e antagonisti che sfruttano le strutture della città per creare caos. La minaccia non è più remota: è concreta e si manifesta in contesti familiari, rendendo lo spettatore consapevole della propria vulnerabilità quotidiana.
Infine, emerge un terzo livello di pericolo legato a corporate e politica. Film come Iron Man (2008) o The Manchurian Candidate (2004) esplorano come il nemico possa celarsi dietro figure di potere, istituzioni o aziende, introducendo temi di sospetto, inganno e sfiducia sistemica.
In sostanza, la narrativa post-11 settembre sposta il focus da un modello “noi contro loro” a un più inquietante “noi contro noi”: il nemico non è più distante e riconoscibile, ma è parte della comunità, spesso invisibile, e in grado di manipolare fiducia e istituzioni per colpire. Questo nuovo approccio cinematografico riflette una società più consapevole delle proprie fragilità e più sensibile alla paranoia interna, creando storie dove la sicurezza domestica, politica e sociale non può più essere data per scontata.
Conseguenze narrative e culturali
La trasformazione della rappresentazione del nemico nei film post-11 settembre ha avuto ripercussioni profonde non solo sui temi trattati, ma anche sulla costruzione degli eroi e sulla percezione della realtà da parte del pubblico.
Gli eroi cinematografici diventano figure più vulnerabili e complesse. Non sono più individui moralmente impeccabili, capaci di affrontare il pericolo con coraggio quasi sovrumano: al contrario, spesso si trovano tormentati, incerti sulle loro scelte e costretti a confrontarsi con dilemmi etici profondi.
La suspense non nasce più soltanto dall’azione spettacolare o dagli effetti speciali, ma dalla paranoia, dai tradimenti e dai giochi di potere nascosti. I conflitti si spostano dall’esterno all’interno della comunità, generando tensione attraverso la fragilità delle relazioni umane e l’imprevedibilità delle motivazioni.
Il cinema comincia a riflettere e ad analizzare un clima culturale segnato da sospetto, paura e frammentazione sociale. In questo nuovo contesto narrativo, il pericolo non è più solo visibile e immediato, ma psicologicamente incisivo: ciò che minaccia non è un evento catastrofico lontano, bensì l’insicurezza interna, l’infiltrazione del male nella quotidianità e nelle istituzioni stesse.
In definitiva, il cinema post-11 settembre esplora l’ansia collettiva dell’America di fronte alla propria vulnerabilità interna, inaugurando una nuova estetica del pericolo, meno spettacolare ma più inquietante, capace di incidere profondamente sullo spettatore.
Ma si badi bene che i cambiamenti qui sopra elencati non riguardano solo i film d’azione o di avventura: anche i drammi e i thriller politici adottano questa nuova logica narrativa. Syriana (2005) e United 93 (2006) trattano il terrorismo e la geopolitica con uno sguardo realistico e complesso, mostrando che il male non è mai semplice e che la verità spesso è sfumata.
Conclusioni
Prima dell’11 settembre, il cinema americano raccontava catastrofi grandiose, spettacolari e rassicuranti: il nemico era esterno, riconoscibile, e il sistema di sicurezza funzionava. Dopo l’11 settembre, la paura cambia natura: il cattivo può nascondersi dietro un volto familiare, usare istituzioni e strutture a suo vantaggio, e colpire nel cuore della società. La narrativa cinematografica non è più solo evasione: diventa riflesso della vulnerabilità e della paranoia collettiva.
In definitiva, l’11 settembre ha riscritto la grammatica del pericolo: dal cielo minaccioso alle mura domestiche, dal nemico lontano al vicino di casa, il cinema americano ha trasformato la paura in introspezione e sospetto. Questa evoluzione narrativa racconta non solo un cambiamento estetico, ma un vero e proprio trauma culturale, destinato a influenzare storie, eroi e cattivi per gli anni a venire.