SophIa - Laboratiorio cine-audiovisivo di Intelligenza Artificiale
By Lorenzo Carapezzi / Aggiornato 4 minuti fa / Sceneggiatura

La paura dell'IA: dialogo con i creatori di Cort-IA

Proseguiamo il nostro viaggio nei meandri affascinanti e inquieti dell’intelligenza artificiale, un’esplorazione che ha il sapore delle grandi avventure di Jules Verne: fatta di mondi paralleli, realtà trasfigurate e scoperte che sfidano ogni logica conosciuta. Come in una discesa verso il centro della Terra, ci inoltriamo sempre più in profondità, attratti dal mistero e dalla vertigine dell’ignoto, spinti dalla stessa curiosità febbrile dei protagonisti dei suoi romanzi.

Negli ultimi mesi, abbiamo cercato di mappare questo territorio ancora in parte inesplorato, pubblicando due articoli dedicati a un tema che ha acceso un dibattito nel mondo del cinema: la nascita di Cort-IA, il primo concorso italiano di sceneggiatura che impone, come requisito obbligatorio, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel processo creativo.

Sin dall’annuncio, le principali associazioni di categoria – 100autori, Writers Guild Italia e ANAC – hanno espresso con forza il loro dissenso, elencando una serie di preoccupazioni: dalla minaccia all’identità autoriale ai rischi legati al diritto d’autore, dalla potenziale superficialità dell’atto creativo alla strumentalizzazione di una tecnologia ancora giovane e ambigua.

Ma, come insegna Hegel, per ogni tesi occorre un’antitesi. E per dar spazio a un vero confronto, abbiamo deciso di ascoltare anche la voce di chi, da tempo, lavora per costruire un ponte tra uomo e macchina, tra ispirazione umana e intelligenza artificiale. Abbiamo intervistato Federico Bo e Mateusz Miroslaw, fondatori del progetto SophIA – un nome che omaggia Sophia Loren, icona dell’arte e dell’eleganza – che da anni si interrogano su come l’AI possa diventare alleata della creatività, e non sua nemica.

La domanda tematica di questa doppia intervista è capire quali siano le sfide e le opportunità di questa rivoluzione digitale nel campo del cinema e della narrazione.

Scrivere con ChatGPT: Intelligenza artificiale VS Umano

La paura del cambiamento

Il pubblico non è mai stato unanime di fronte al cambiamento. La storia del cinema lo dimostra chiaramente: ogni innovazione tecnica, oggi celebrata come una svolta fondamentale, è stata inizialmente accolta con sospetto.

Alla fine dell’Ottocento, il cinema veniva considerato una semplice curiosità ottica, più vicino a un numero da baraccone che a una forma d’arte. D'altronde, gli stessi inventori del cinema, i fratelli Auguste e Louis Lumière, pensavano che il cinema fosse un'invenzione senza futuro. Gli intellettuali lo snobbavano, ritenendolo inferiore a teatro e letteratura. Lo stesso accadde negli anni Venti, con l’introduzione del sonoro: registi e attori, capitanati da Charlie Chaplin, temevano che le parole avrebbero soffocato la forza espressiva delle immagini.

Non si tratta solo di cinema. Come ci ricorda Federico Bo durante l’intervista, anche l’introduzione delle calcolatrici digitali nelle scuole fu vista da molti come una minaccia alle capacità di calcolo mentale dei bambini.

Ma, come accade spesso con ogni grande innovazione, dopo le paure iniziali e le accese discussioni, arriva il momento dell’accettazione. Chaplin finì per abbracciare il sonoro con Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940), lanciato con la celebre tagline “He talks”. E oggi, fare i conti a mano sarebbe quasi impensabile.

Il punto è che ogni trasformazione, prima di essere accolta, genera paura: paura di perdere competenze, paura di non riuscire ad adattarsi, paura dell’imprevedibilità. Ma è proprio da queste paure che bisogna partire: riconoscerle, ascoltarle, ma anche superarle. E il primo passo, dicono i fondatori di SophIA, è sempre il dialogo.

Siamo di fronte a un tema in evoluzione. È un work in progress. I veri effetti dell’intelligenza artificiale nella scrittura emergeranno con il tempo. Ci sono due aspetti che voglio sottolineare. Primo: l’IA non detta le regole, ma può moltiplicare gli esiti. Secondo: l’autore potrebbe diventare una sorta di designer o ingegnere del testo. È una nuova modalità di creazione narrativa, ed è interessante esplorarla.

Federico Bo

Per chiarire meglio questo punto, Bo richiama il concetto di distant writing, una nozione recentemente esplorata dal filosofo Luciano Floridi, che a sua volta si ispira al distant reading, teorizzato dal critico letterario Franco Moretti (fratello del regista Nanni Moretti): se un tempo l’interpretazione dei testi era affidata esclusivamente all’intelligenza umana, oggi – grazie all’analisi algoritmica – si aprono nuovi scenari in cui anche la scrittura stessa può trasformarsi, generando forme e strutture narrative prima impensabili.

È proprio su questa soglia di mutazione, tra umano e artificiale, tradizione e innovazione, che secondo Bo e Miroslaw si gioca la sfida più affascinante: interrogarsi non tanto sul rimpiazzo dell’autore, quanto sulla possibilità di una nuova alleanza creativa tra mente umana e intelligenza artificiale.

Scrivere con ChatGPT: Intelligenza artificiale e umano

Durante l’intervista, Bo e Miroslaw insistono più volte su una parola chiave: collaborazione. È così che definiscono il rapporto ideale tra autore e intelligenza artificiale: non deve essere visto come un duello, ma come un'alleanza. Da questa sinergia, sostengono, può scaturire una moltiplicazione degli esiti creativi, una fertilità narrativa capace di aprire strade che la sola mente umana, o la sola macchina, non avrebbero potuto percorrere da sole.

Eppure — viene da chiedersi — è proprio in questa moltiplicazione che si cela la paura più profonda? La paura che, col tempo, quella che oggi chiamiamo collaborazione possa scivolare silenziosamente in una sostituzione. Non più una mano tesa, ma un lento rimpiazzo. Non più un assistente, ma un protagonista.

A rafforzare questa inquietudine è il recente caso mediatico che ha fatto il giro del mondo: i video generati con Veo 3, la nuova tecnologia capace di produrre immagini sintetiche di realismo sbalorditivo, sempre più indistinguibili dalle riprese dal vivo. Una soglia è stata superata: quella tra il verosimile e il vero.

Sia Federico che Mateusz legittimano queste preoccupazioni, ma allo stesso le riconducono all’ignoranza rispetto all’argomento. Come scriveva Kierkegaard, l’angoscia non è paura di qualcosa di specifico, ma il brivido davanti alla possibilità, all’ignoto, al nulla.

Per loro, non esisterà mai un produttore incentivato a fare un film con la sola intelligenza artificiale, perché da essa non può venire fuori nulla di interessante. Ci vorrà sempre l’autore che intermedierà.

Affermazioni che potrebbero suonare un po’ audaci, quasi profezie lanciate da una palla di cristallo. Ma grazie a Mateusz, che ci fa da Virgilio, possiamo orientarci come Dante nella selva oscura del mondo tecnico, addentrandoci nel dettaglio ingegneristico-informatico del media-coding per capire perché, in realtà, un film creato interamente dall’intelligenza artificiale non potrà mai vedere la luce.

I video che escono da Veo 3, per esempio, sono a 8 bit, ovvero quanta densità di informazione c’è nel video. I film per il grande schermo, la televisione ecc. sono, invece, a 12 bit. Si tratta di una differenza di immagine che non è recuperabile in altri modi. E questa profondità è ciò che serve per fare effetti speciali e color grading. Si trattano di video di bassa qualità, ma non visiva, ma di informazione.

Mateusz Miroslaw
Abbiamo finito i dati. Google, per fare i video con Veo 3, ha mangiato tutti i dati che ha a disposizione. Finiti quei video, non ci sono altre banche dati da cui attingere. Anche se noi andassimo a mettere assieme tutti quanti i filmati di altissima qualità da tutte le case di produzione, non saremmo in grado di recuperare neanche un centesimo per costruire questi tipologie di video.

Mateusz Miroslaw

Dunque, l’impossibilità di un futuro in cui l’intelligenza artificiale sostituisce completamente il lavoro umano nella realizzazione di un film è legata a un limite molto concreto: i dati. Per generare opere audiovisive di alta qualità esclusivamente tramite IA, servirebbero ordini di grandezza di dati attualmente inaccessibili.

Se si vanno a guardare i dati, si scopre che su YouTube, ogni minuto vengono pubblicati 72 ore di video, ma tutti in formato 8 bit, non sufficiente per alimentare un sistema in grado di generare contenuti cinematografici di livello professionale. Le case di produzione, per realizzare film fotorealistici tramite IA, dovrebbero disporre di milioni di minuti di video in 16 bit o superiore, una qualità e una quantità che, a oggi, non esistono in forma pubblicamente accessibile.

Un conto è fare video per brainrot, un altro è creare un prodotto che debba essere proiettato in 2k.

Mateusz Miroslaw

Quando Miroslaw ci parla di alta qualità, fa riferimento ai film per il grande schermo. Eppure, c’è un dato che inquieta profondamente: la chiusura progressiva delle sale. Solo in Italia, negli ultimi anni, più di 2.000 cinema hanno abbassato per sempre le loro serrande. Il pubblico, lentamente, si sta disabituando all’esperienza collettiva e immersiva del cinema, preferendo invece la fruizione solitaria e domestica, attraverso lo schermo di un computer o di un dispositivo personale.

Anche qui vale lo stesso principio: ci sono ancora forti limiti tecnologici. E proprio a causa di questi limiti, la generazione di filmati tramite IA ha costi elevati, spesso superiori a quelli legati all’assunzione di autori umani.

Mateusz Miroslaw

Ma, nonostante le rassicurazioni di Miroslaw, resta un dubbio: oggi l’impossibilità di un cambiamento epocale sembra legata unicamente a un limite tecnologico. Eppure, la tecnologia continua a progredire — e lo fa a una velocità impressionante.

Ancora una volta, alla preoccupazione Mateusz risponde con la calma di chi è fermamente convinto di quello che ha attorno: a quel livello di qualità non ci si arriverà mai, perché semplicemente non esiste — e non si sta producendo — abbastanza materiale per addestrare modelli di questo tipo.

C’è da dire, però, che durante l’intervista Mateusz usa a un certo punto l’espressione “altamente improbabile”. La preoccupazione, quindi, persiste: in questo mondo, nulla può essere considerato davvero impossibile.

Notando la mia continua preoccupazione, nonostante le loro risposte, Federico riprende la parola, tornando a mettere a confronto passato e presente:

Secondo me, semplicemente nascerà un nuovo genere. Proprio come negli anni Venti è nata l’animazione, nasceranno i film sintetici. Come per l’animazione, anche questo nuovo genere non sarà opera di una sola persona: sarà creato da un team di persone reali. Sicuramente sarà uno dei generi esistenti, ma non l’unico. I film ‘veri’ continueranno a esistere e si creerà semplicemente un nuovo genere da aggiungere all’offerta per il pubblico.

Federico Bo

A detta dei fondatori di SophIA, la nascita del nuovo genere non sarà determinata da una rivoluzione tecnologica che sostituisce l’arte tradizionale, ma piuttosto da una diversificazione legata alle dinamiche di mercato. In altre parole, non è la tecnologia in sé a imporre una sostituzione o una trasformazione radicale del cinema “classico”, ma sono le esigenze, i gusti e le abitudini del pubblico e dell’industria a definire quali prodotti saranno richiesti e valorizzati.

Per Federico e Mateusz, l’avanzare delle tecnologie ha sempre significato un’espansione delle competenze richieste agli artisti. Come l’arrivo del sonoro impose agli attori di affiancare alla mimica un uso consapevole della voce, oggi non basta più per l’autore saper scrivere bene: serve anche sviluppare la capacità di dialogare con l’intelligenza artificiale.

Si tratta, in definitiva, di una questione di evoluzione e adattamento alle nuove sfide creative.

Il sistema generativo funziona come moltiplicatore della creatività. Questi sistemi bisogna vederli come degli “enzimi della creatività”: catalizzano gli input dell’essere umano. Se uno ha già una storia, l’output viene moltiplicato. Ma se non hai una storia, la macchina risponde con degli output statisticamente medi e, quindi, produce contenuti mediocri. Questi sistemi sono programmati per replicare delle distribuzioni statistiche. E quindi, finiscono, nella maggior parte dei casi, di interpolare dei contenuti medi, già visti. A livello di creatività di contenuti nuovi, non possono creare contenuti nuovi.

Federico Bo

Secondo loro, l’autore deve assumere anche il ruolo di mediatore: una figura capace di guidare la macchina, indirizzandola verso la propria visione creativa, affinché il risultato finale sia davvero interessante e personale. In questo senso, la tecnologia diventa un moltiplicatore che amplia il brainstorming dell’autore, offrendogli più spunti e possibilità da esplorare.

Tuttavia, come sottolinea Alessandro Testa nell’intervista fatta assieme alla nostra redazione: “scrivere è sbagliare. E l’apprendimento passa proprio attraverso l’errore. Un ragazzo che si affida a un chatbot non impara a scrivere, ottiene solo qualcosa da consegnare. Ma quella non è crescita: è una scorciatoia”.

Anche prima di questi modelli narrativi, copiare era possibile: copiare paragrafi da siti, andare in biblioteca e strappare una pagina. Il procedimento è simile. Un martello può essere utilizzato sia per colpire chiodi che teste. Vogliamo veramente eliminare per questo i martelli?

Mateusz Miroslaw

Il problema non è la macchina in sé, ma il modo in cui viene utilizzata. Non è l’IA a essere pericolosa, ma l’assenza di consapevolezza nell’uso che se ne fa. Manca un’educazione all’uso del chatbot: capire come interagirci, come guidarlo, come riconoscerne i limiti.

Facendo un giro tra i piani di studio di alcuni corsi universitari a indirizzo umanistico, come il DAMS di Bologna o Lettere, si nota come la consapevolezza sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale sia ormai un tema di dibattito acceso e quotidiano. In Italia esistono già corsi e esami dedicati all’IA, a testimonianza di quanto questo argomento sia ormai centrale anche nelle discipline umanistiche.

Anche senza l’intelligenza artificiale, le idee che abbiamo non nascono mai dal nulla. Sono il risultato delle esperienze che abbiamo vissuto, dei libri che abbiamo letto, delle conversazioni che abbiamo ascoltato. Questo principio è stato espresso in modo chiaro, per esempio, da Luciano Floridi, secondo cui l’originalità è sempre frutto di rielaborazioni e mai di una creazione assoluta. In altre parole, anche l’umano “funziona” come una macchina in quanto seleziona, connette e riformula contenuti già esistenti.

Il problema non è lo strumento, ma chi ne fa un uso scorretto. La paura è rendersi conto che non si abbia la capacità di adattarsi.

Federico ci risponde che usare l’intelligenza artificiale è un opzione. Nessuno obbliga ad utilizzarla per il proprio processo creativo.

Per quanto riguarda il montaggio, per esempio, con l’arrivo del digitale nessuno ha costretto a eliminare la pellicola per passare al computer. È una questione di scelta. Si parla, semplicemente, di “democratizzazione” con le tecnologie.

Federico Bo

Il diritto d’autore: è veramente intaccato?

Democratizzare è una parola forte e piena di valori. Una parola che acquisisce ancora più valore e importanza durante la festa dei lavoratori, il primo di maggio. In quella data, l’ANAC ha pubblicato un manifesto riguardo alla problematica principale di questi tempi rispetto al rapporto tra lavoratori del settore audiovisivo e intelligenza artificiale, ovvero il diritto d’autore.

Secondo l’ANAC e le associazioni di categoria come 100autori e WGI, un uso scorretto dell’intelligenza artificiale non solo svilisce il valore del lavoro artistico, ma mette anche a rischio l’intero futuro della professione.

Manifesto ANAC - Testo

L’utilizzo dell’espressione “uso scorretto” lascia intendere che non vi sia un rifiuto ideologico della tecnologia, ma piuttosto una presa di coscienza rispetto a un cambiamento inevitabile nel mondo creativo. Il punto è che non si torna indietro. Tuttavia, la preoccupazione resta: i chatbot apprendono da materiali preesistenti, ma, ad oggi, non è possibile risalire con chiarezza alle fonti utilizzate.

Federico Bo risponde iniziando con una breve digressione, ricordando il suo progetto Cineama, una realtà fondata 15 anni fa che aveva l’obiettivo di introdurre nuove idee nella filiera dell’audiovisiva, tra cui la scrittura collaborativa delle sceneggiatura all’interno di una community, per ricevere feedback e supporti.

Anche allora, ben prima che i Large Language Model come ChatGPT diventassero di uso comune, esisteva già il rischio di essere copiati senza saperlo:

C’è poco da fare. Questa paura esisteva prima dell’avvento dell’intelligenza artificiale. Le storie da raccontare sono tantissime, ma non infinite. Il rischio di copiare c’è sempre, con o senza IA. Il problema che ci si deve porre è chiedersi come poter evitare il saccheggiamento. Ripeto, con o senza IA.

Federico Bo

Federico prosegue citando un caso emblematico nel mondo del fumetto e dell’animazione: la recente tendenza, sempre più diffusa online, di generare immagini nello stile Miyazaki. Una “moda” che solleva interrogativi importanti sul tema della proprietà intellettuale.

A oggi, infatti, mancano strumenti efficaci e condivisi per regolamentare questo tipo di utilizzo estetico e stilistico, spesso sfruttato senza alcuna autorizzazione da parte degli autori originali o delle loro case di produzione.

Se ancora non esiste una regolamentazione chiara, allora bisogna chiedersi quale strada intraprendere: vietare del tutto l’uso dell’intelligenza artificiale nei processi creativi, come ha previsto il nuovo bando del Selettivo; oppure introdurre una forma di tassazione per chi se ne serve, redistribuendo così risorse a sostegno della creatività umana? O, ancora, immaginare nuove forme di coesistenza tra uomo e macchina, che prevedano trasparenza, riconoscimento dei contributi e tutela del lavoro autoriale.

Esempio IA e Studio Ghibli

Perché Cort-IA? Che cos’è e qual è il suo vero scopo?

Tante sono le domande sull’eticità e sul diritto d’autore che ruotano attorno a questo nuovo scenario. Ma proprio perché si tratta di un tema attuale, complesso e ancora in piena evoluzione, viene naturale chiedersi:

È proprio per questo che abbiamo deciso di fare ora il contest. L’obiettivo è creare un vero e proprio caso di studio.

Federico Bo

L’obiettivo di SophIA e del contest è offrire un contributo scientifico, supportato da alcune realtà universitarie, con l’intento di fornire in futuro dati oggettivi e analisi utili per definire una regolamentazione sul tema.

Il vero nodo della questione, però, non è il progetto SophIA in sé, ma il ruolo di Rai Cinema. Da mesi, le associazioni e i rappresentanti delle categorie professionali chiedono un confronto diretto con il Ministero della Cultura e con la Direzione Generale, senza ottenere risposte chiare. Nonostante questa mancanza di dialogo, Rai Cinema ha deciso di sostenere il contest, segnalando di fatto un interesse che sembra rivolto altrove, distante dalle istanze e dalle richieste di chi lavora nel mondo dello spettacolo.

A noi ha sorpreso positivamente che anche solo Rai ci abbia risposto. In due anni, noi abbiamo cercato di contattare decine e decine di case di produzioni, di addetti ai lavori e alle associazioni. Se ci ha risposto l’1% è già tanto…

Federico Bo

Una notizia che lascia sgomenti: Rai Cinema non è mai stata la prima scelta di SophIA. Negli ultimi due anni, Federico e Mateusz hanno cercato un dialogo con le associazioni, ma con l’uscita ufficiale del bando di Cort-IA, queste ultime hanno espresso in modo formale il proprio dissenso, attraverso lettere e comunicati ufficiali.

I primi che abbiamo tentato di raggiungere, nel luglio del 2023, sono stati i 100autori, ma non hanno mai risposto.

Federico Bo
Se ci avessero risposto, a quest’ora avremmo molti più elementi per aprire un vero e proprio tavolo di discussione e trattativa. Una loro risposta sarebbe stata, a parere nostro, un beneficio per tutti.

Mateusz Miroslaw

A questo proposito, invitiamo le associazioni 100autori e Writers Guild Italia a fornire una loro versione dei fatti. Noi di Pictures Writers ci impegneremo a contattarle nuovamente per proporre un’intervista e aprire un confronto diretto. Per il momento, senza voler avanzare critiche, possiamo solo riportare ciò che è documentato: da un lato, nessuna risposta; dall’altro, un semplice "non siamo interessati". I motivi di queste scelte? Restano, per ora, da chiarire.

Conclusioni

Nell’intervista con Federico Bo e Mateusz Miroslaw, fondatori di SophIA, emerge con chiarezza che l’intelligenza artificiale, pur rivoluzionando il modo in cui si crea e si pensa la narrazione, non può ancora sostituire l’autorialità umana. L’IA oggi si configura come uno strumento che amplia le possibilità creative, ma resta incapace di generare contenuti di qualità cinematografica in modo autonomo, soprattutto per limiti tecnici e di dati. Il cinema interamente creato da IA rimane una prospettiva remota e irrealistica, mentre invece ci si avvicina a un nuovo genere di cinema ibrido, che mescola capacità umane e potenzialità degli algoritmi.

La creatività rimane ancora un territorio esclusivamente umano, anche se profondamente trasformato dall’arrivo delle tecnologie generative. L’autore del futuro non sarà un semplice narratore, ma un curatore e un dialogatore con l’IA, capace di progettare nuove forme di racconto e di superare i limiti delle tecniche tradizionali. Ma quale sarà il confine tra assistenza e sostituzione? Quanto saremo disposti a delegare la nostra voce creativa alle macchine? E soprattutto, come cambierà il nostro rapporto con le storie e con noi stessi in questo nuovo contesto?

Autore dell'articolo
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Lorenzo Carapezzi

La scrittura è al centro della mia vita professionale. Creo storie originali e insegno sceneggiatura a giovani talenti, aiutandoli a trasformare idee in trame e personaggi memorabili. Per me, la sceneggiatura è un'arte e una passione quotidiana.