Cos'è il Jumping the Shark: Quando una serie TV perde credibilità
Nel mondo delle serie televisive, la longevità è spesso considerata il massimo traguardo produttivo. Una buona serie è quella che può propagarsi all’infinito: nuove stagioni, nuovi episodi, nuovi scenari, sempre con il pubblico incollato allo schermo.
Ma non bastano i soldi per garantire questo miracolo produttivo. Servono idee, creatività, capacità di sorprendere senza tradire ciò che il pubblico ama. Contrariamente ai soldi, le idee non sono illimitate: più passa il tempo, più diventano scarse, fino a esaurirsi o a diventare forzate.
Ed è proprio in quei momenti di scarsità creativa che nasce il fenomeno noto come jumping the shark: ma che cosa significa, qual è l’origine di questo idioma e perché deve essere un monito per noi sceneggiatori?
Cos’è il Jumping the Shark?
Tra gli anni ’70 e ’80, negli Stati Uniti esplode la Happy Days Mania. Gli anni ’50 tornano di moda: jukebox, giacche di pelle, drive-in e soda shop diventano icone culturali e lo stile di vita nostalgico di quegli anni conquista il pubblico. La serie ruota attorno alla famiglia Cunningham, come Richie (Ron Howard), e naturalmente a Fonzie (Henry Winkler), il carismatico ragazzo in giacca di pelle, simbolo di ribellione e coolness.
La popolarità di Happy Days (1974-1984) cresce rapidamente, diventando un punto di riferimento per la cultura pop americana. Merchandise, spin-off e citazioni nei media contribuiscono a consolidare Happy Days come un fenomeno che va oltre la televisione, celebrando un ideale di gioventù spensierata e un’America idealizzata.
Ma quando il successo spinge a cercare nuovi modi per sorprendere il pubblico, nascono i rischi creativi. È in questo contesto che compare l’episodio che dà origine al concetto di jumping the shark: Fonzie, per impressionare gli amici, deve saltare sopra uno squalo con gli sci d’acqua.
Pensata per intrattenere, la scena fu invece percepita come esagerata e poco coerente con lo spirito originale della serie: la rappresentazione nostalgica, leggera e divertente della vita negli anni ’50, centrata su amicizia, famiglia e piccoli conflitti quotidiani.
Da allora, jumping the shark è diventata un’espressione idiomatica per indicare il momento in cui una serie, nel tentativo di rimanere interessante, ricorre a trovate improbabili e segna l’inizio del declino creativo.
Il concetto si è poi esteso a cinema, musica, marketing e persino politica: ogni volta che la ricerca disperata di attenzione o innovazione porta a gesti forzati, si parla di “salto dello squalo”, cioè di una perdita di credibilità e autenticità.
Perché succede il Jumping the Shark?
Il “salto dello squalo” nasce spesso dalla pressione di mantenere il pubblico fedele stagione dopo stagione. Quando le idee scarseggiano, gli autori possono essere tentati da mosse drastiche, come:
Introdurre personaggi improbabili o già presenti in passato in modo forzato
Con l’introduzione di una nuova equipe medica, Grey’s Anatomy (2005-in produzione) ha spesso cercato di sostituire o affiancare i personaggi storici. Questi inserimenti, pur necessari per rinnovare le dinamiche narrative, sono stati percepiti da alcuni fan come forzati, perché interrompevano il naturale sviluppo dei personaggi principali e talvolta rompevano l’equilibrio della serie.
Cambi di scenario radicali
Si pensi alla nona e ultima stagione di Scrubs (2001-2010), dove non solo cambiano quasi tutti i personaggi principali, ma ci si sposta in un nuovo ospedale.
Eventi scioccanti e fuori contesto
Il finale di How I Met Your Mother (2005-2014) fu molto criticato per la sua frettolosità e per alcune scelte narrative sorprendenti e fuori contesto. Un finale controverso, con il tentativo di soprendere forzatamente.
Esistono, nella storia del cinema e della serialità, una serie di salti dello squalo divenuti topos narrativi.
Un primo esempio è il celebre colpo di scena del “tutto era un sogno”: alla fine della nona stagione di Dallas (1978-1991), viene rivelato che tutto quello accaduto nella stagione precedente è stato tutto un sogno, compresa la morte di un personaggio.
Un altro esempio sono le resurrezioni di personaggi che sembravano definitivamente morti. Nella sesta stagione di The Walking Dead (2010-2022), la falsa morte di Glenn (Steven Yeun) mette in discussione l’approccio “realistico” della serie: se un personaggio sopraffatto dagli zombie può tornare in vita, come possiamo fidarci delle morti future?
Un ultimo esempio (ma ce ne sarebbero moltissimi) è quando un mondo già magico o misterioso diventa troppo magico o troppo complicato: la fama di Lost (2004-2010) è sempre stata legata ai misteri dell’isola, ma con il passare delle stagioni l’introduzione di nuovi elementi, come i viaggi nel tempo, ha iniziato a far storcere il naso a molti spettatori.
Sapere quando smettere: il finale de I Soprano
Una delle lezioni più importanti che ogni sceneggiatore (e ancor di più ogni produttore) dovrebbe imparare è che, a un certo punto, bisogna sapersi fermare: continuare a “mungere la vacca” può generare qualche profitto (e nemmeno sempre), ma sul piano creativo significa solo trascinare la storia in un’agonia lenta e prevedibile, fino a una conclusione scontata e priva di forza.
Questo lo sapeva bene David Chase e il suo tema di sceneggiatori. Nel 2007, dopo otto anni di successi, decise di chiudere I Soprano (The Sopranos, 1999-2007) alla sesta stagione. Continuare avrebbe significato snaturare la serie, renderla ripetitiva e perdere ciò che l’aveva resa un capolavoro.
Ma di cosa parla I Soprano? Al centro della serie c’è un’idea semplice, quanto potente: il parallelismo tra la famiglia domestica e la “famiglia” mafiosa. Tony Soprano (James Gandolfini), per sei stagioni, lotta per tenere in equilibrio entrambe. Ogni volta che una delle due sembra stabilizzarsi, l’altra inizia a vacillare. Già nella prima stagione, mentre Tony rafforza la sua posizione criminale (di fatto è lui, non lo zio Junior, a guidare gli affari), la sua vita privata si sgretola: la figlia Meadow (Jamie-Lynn Sigler) e il figlio [A.J.](https://it.wikipedia.org/wiki/Anthony_Soprano,_Jr.) (Robert Iler) cominciano a mettere in discussione il ruolo del padre, mentre il matrimonio con Carmela (Edie Falco) entra in crisi. Queste tensioni sono la causa dei suoi attacchi di panico: Tony è un uomo schiacciato dal timore che le sue due famiglie possano crollargli addosso.
Alla fine della sesta stagione, le due famiglie di Tony sono entrambe in una condizione di equilibrio instabile. Ha vinto la guerra contro Phil Leotardo (Frank Vincent) e consolidato il suo ruolo di boss: la famiglia mafiosa è “in ordine”, ma il prezzo pagato è altissimo, con amici e alleati morti lungo la strada. Sul fronte domestico, Carmela ha accettato la realtà del marito, ma il loro matrimonio è ormai un compromesso silenzioso. Meadow ha scelto una vita lontana dal crimine, mentre A.J., dopo il tentato suicidio, sembra avviato verso una strada più “normale”, ma il suo futuro resta incerto.
Ed è proprio questo il punto: non c’è una vera risoluzione. Chase sceglie di chiudere qui perché il viaggio di Tony non è verso una soluzione definitiva, ma verso una consapevolezza: le due famiglie non potranno mai essere perfettamente in armonia. Ci sarà sempre qualcosa che scricchiola.
Ecco perché il finale è così dirompente. Quel taglio netto (tanto improvviso che molti spettatori pensarono a un guasto della TV o dell’emittente televisiva) è la scelta più coerente possibile. Non serve sapere con certezza se Tony muore o sopravvive: ciò che conta è che il tema sia stato compiuto. Tony, almeno per un momento, ha trovato un fragile equilibrio tra le due famiglie.
Il finale de I Soprano dimostra che la coerenza narrativa e la profondità emotiva possono lasciare un segno più profondo di qualsiasi epilogo spettacolare o artificioso.
Vita immortale: il caso Beautiful
Ma, nonostante tutto ciò che abbiamo detto finora, alcune serie sembrano immortali.
Sono passati 38 anni dalla prima messa in onda di Beautiful (The Bold and the Beautiful, 1987-in corso), eppure continua a vivere a pieno regime, senza mai stancare gli spettatori. Molti dei segnali che in altre serie indicherebbero un “salto dello squalo”, come matrimoni infiniti, personaggi morti e poi resuscitati, entrata di nuovi protagonisti, eventi scioccanti fuori contesto, Beautiful li ha attraversati tutti, più e più volte. Eppure resta viva e amata. Come mai?
Beautiful (ma come tutte le soap opere, dal Brasile alla Turchia) giocano su un semplice elemento: la ripetizione ciclica di conflitti, amori, tradimenti e riconciliazioni. Questo meccanismo permette di rigenerare continuamente le storie senza mai arrivare a una conclusione definitiva. Queste ripetizioni non stancano perché il pubblico non cerca sorpresa costante, ma familiarità: i personaggi sono archetipi prevedibili ma rassicuranti, figure riconoscibili che si muovono sempre entro schemi comprensibili. Ogni ciclo introduce piccole variazioni (un nuovo tradimento, un matrimonio imprevisto, un ritorno inatteso) che mantengono vivo l’interesse.
La narrazione delle soap è ciclica, non lineare: quando una storia si esaurisce, ne nasce un’altra, spesso collegata alla precedente. In più, il pubblico segue la soap come un appuntamento quotidiano, un rituale che offre la sensazione di entrare in un mondo coerente e familiare. Anche eventi improbabili o drammatici vengono accettati, perché rientrano nella logica interna della soap stessa.
Al contrario, serie come The Sopranos seguono una logica narrativa completamente diversa: qui l’obiettivo non è la continuità infinita, ma la sorpresa, l’evoluzione dei personaggi e la coerenza drammatica. Tony Soprano e gli altri protagonisti non sono archetipi prevedibili, ma persone complesse che cambiano nel tempo: ogni scelta ha conseguenze, ogni conflitto porta a trasformazioni profonde.
La struttura narrativa è lineare e serializzata: ogni stagione costruisce un arco con inizio, sviluppo e climax, e le sottotrame convergono verso un finale significativo. La suspense e l’imprevedibilità sono fondamentali per coinvolgere il pubblico, e la sospensione dell’incredulità è limitata: eventi troppo assurdi o ripetitivi rischierebbero di rompere la coerenza della storia.
Anche il rapporto con il pubblico cambia: mentre nelle soap gli spettatori seguono il rituale quotidiano e trovano conforto nella prevedibilità, in serie come The Sopranos l’interesse nasce dalla tensione, dalla sorpresa e dalla profondità emotiva. In altre parole, il dramma serializzato punta a raccontare una storia chiusa e significativa, mentre la soap punta a vivere senza fine, rigenerando continuamente il proprio mondo narrativo.
Conclusioni
Il fenomeno del jumping the shark ci ricorda una regola fondamentale per sceneggiatori e produttori: sapere quando fermarsi e non forzare oltre la creatività. Le serie televisive mostrano approcci molto diversi alla narrazione: le soap come Beautiful si sostengono sulla ripetizione ciclica e sulla familiarità, rigenerando i conflitti all’infinito senza perdere il pubblico, mentre le serie drammatiche come The Sopranos puntano a coerenza narrativa, sorpresa e profondità emotiva, con archi chiusi e conseguenze reali.
In entrambi i casi, però, il rischio di “saltare lo squalo” incombe: quando la pressione di sorprendere porta a scelte forzate o incoerenti, la credibilità della storia vacilla e il pubblico può percepire un calo creativo. Comprendere le dinamiche della ripetizione, della sorpresa e della coerenza emotiva è quindi essenziale per evitare che anche una serie di successo cada vittima del proprio stesso tentativo di stupire.